Da quando prima in Cina, poi in Italia, e nel mondo in generale, è scoppiata la Pandemia del Covid-19, non si fa che parlare di quanto questo ci abbia portato via il bene più prezioso: la libertà. Siamo chiusi in casa, alcuni di noi addirittura in altri Stati, e quotidianamente bombardati da “numeri”: il numero di contagiati, di guariti ma soprattutto di morti, portandoci il più delle volte a dimenticare che dietro quelle statistiche ci sono, o purtroppo in alcuni casi non ci sono più, delle vite umane.
Così, di fronte a questo scenario di paura, morte e reclusione, la nostra esistenza sembra essere diventata esattamente ciò che Arthur Schopenhauer teorizzava nella seconda metà dell’ ‘800: “Un pendolo che oscilla tra morte e noia”.
Ma è davvero tutto qui?
Indubbiamente il momento storico che stiamo vivendo è drammatico, doloroso, surreale e ci fa paura. Eppure sembra esserci tutta un’altra faccia della medaglia con la quale stiamo facendo fatica a confrontarci: il Coronavirus, laddove fortunatamente non è stato contratto, non ci ha tolto la libertà ma ce l’ha donata. Da centinaia di anni, forse, per la prima volta. Ci ha rimessi in contatto con noi stessi, con gli altri, con lo spazio, con il tempo: con la vita.
Ma questo, oltre all’emergenza ovviamente, è proprio ciò che ci spaventa di più. Siamo stati buttati fuori dalla vera prigione, quella del consumismo, dell’inquinamento, dell’esasperata competitività, delle aspettative sempre più alte e a tratti irraggiungibili, quella fatta di stress e frenesia e improvvisamente ci siamo ritrovati in possesso della piena libertà, quella vera.
Il doverci inventare le giornate, essere per la prima volta davvero padroni del nostro tempo, senza scadenze, senza appuntamenti, senza preoccupazioni dietro le quali molto spesso volontariamente ci nascondiamo, sembra essere un qualcosa al quale non eravamo assolutamente preparati. Senza qualcuno che ci organizzi le giornate, scandendoci tempi e ritmi, senza tutte le distrazioni del mondo esterno, che ci colmano i momenti di noia, ci sentiamo paralizzati. Senza renderci conto che è forse la prima volta che stiamo sperimentando il sapore della noia, quella vera, quella in cui l’inerzia del corpo corrisponde all’attività della mente, che senza che noi possiamo controllarlo inizia a lavorare per elaborare la risposta migliore a quella condizione. Ed ecco che così magicamente qualcosa dentro di noi si muove: la noia ci libera, tirando fuori le nostre parti più autentiche, spingendoci a coltivare le nostre passioni: l’arte, la cucina, il movimento e tutto ciò che realmente rende la nostra vita migliore. Persino i cellulari, ormai distrazione per eccellenza, sono tornati a svolgere il loro compito originario: accorciare le distanze.
Eppure altro non desideriamo che tornare a un paio di mesi fa, quando la nostra vita era per la maggior parte controllata dall’esterno ma avevamo l’illusoria libertà di poter andare dove volevamo, in cui ricerche dell’OMS mostravano come la malattia più diffusa nel 2030 non sarebbe stata il Coronavirus, ma la depressione, incrementata proprio da ciò che a noi piaceva chiamare “libertà”.
Allora, forse, non sarebbe più auspicabile augurarsi una nuova normalità, in cui ovviamente il virus e tutto questo dolore non esistono più ma lasciano il posto a un nuovo concetto di libertà più consapevole?
Anche perché forse non abbiamo notato che questa noiosa quotidianità altro non è che quella libertà che per lungo tempo abbiamo desiderato, lontana dallo stress e dalle responsabilità del lavoro. Probabilmente la immaginavamo diversa: fatta di viaggi e feste sulla spiaggia ma non abbiamo mai considerato che la vera libertà è quella interiore, non quella che, illusoriamente, vogliamo convincerci di trovare fuori.
Ogni volta che sentiamo il bisogno impellente di uscire per sentirci liberi, è perché le catene le abbiamo dentro. E questa è forse la lezione più grande che questo momento vuole insegnarci.
Quando realmente saremo capaci di sperimentare la libertà interiore, allora ci sentiremo liberi in qualsiasi posto, sia dentro che fuori casa, e allora sì che una passeggiata all’aperto non avrà più il gusto di evasione e fuga ma di vita.