La scrittura espressiva è il nostro nuovo alleato per vivere bene. Bastano 15/20 minuti al giorno per coltivare la nostra serenità.

Spesso abbiamo sentito parlare della scrittura come potente alleato per il nostro benessere. Effettivamente la scrittura parla sempre di noi. C’è chi scrive moltissimo soltanto quando sta male e chi invece scrive sempre ma al primo accenno di malessere, abbandona la penna. E poi c’è chi ha scoperto una vera e propria ancora di salvezza: la scrittura espressiva.

Cos’è la scrittura espressiva?

Come il termine stesso suggerisce, la scrittura espressiva è un particolare ed efficace modo di dar voce alle proprie emozioni: di, appunto, esprimerle. Viene praticata per 15/20 minuti al giorno per almeno 3/4 volte a settimana, con il solo e unico scopo di mettere nero su bianco un avvenimento traumatico. Non importa di quale entità, la scrittura non giudica, ma accoglie e ascolta. La scrittura abbraccia ed esprime con il giusto rispetto qualsiasi tipo di vissuto.

La scrittura fa i suoi esordi nella vita di ognuno di noi durante la prima infanzia e poi trova il suo apice durante l’adolescenza. Soprattutto durante questo particolare momento di transizione, infatti, la scrittura è il mezzo che meglio rappresenta il vissuto giovanile. Anni fa riempiva le pagine di diari e popolava infinite lettere, alcune delle quali non hanno mai conosciuto destinatario. Oggi invece si nasconde dietro timidi ma intensi messaggi. Un processo che cambia forma ma mai sostanza.

A destare preoccupazione, però, è quello che accade una volta conclusa l’adolescenza, quando non si sa per quale ragione, molti smettono improvvisamente di scrivere. Senza saperlo, però, abbandonando la penna stanno anche rinunciando a una grossa opportunità di crescita personale.

A capo di questi preziosissimi studi, il prof. James W. Pennebaker. Grazie al suo attento lavoro in collaborazione con i suoi studenti, si è scoperto come la scrittura non sia soltanto un mezzo importante per elaborare un truma. Infatti, Robert Bangert-Drowns e Gestern e Baker hanno scoperto come anche solo fare un pausa in cui mettere per iscritto le proprie emozioni del momento nel mezzo dello studio o di un lavoro importante, contribuisca a garantirne la buona riuscita. Sembrerebbe, insomma, che la scrittura migliori la qualità della nostra vita a 360 gradi.

Perché la scrittura è così funzionale?

Alla luce delle considerazioni fatte fin qui, la risposta parrebbe scontata, ma merita comunque delle attente riflessioni. Scrivere, infatti, riduce moltissimo la nostra inclinazione a somatizzare. Mettere per iscritto ciò che proviamo è quel ponte che si posiziona a metà strada tra il provare qualcosa e il metterlo nell’ambito della comunicazione diretta. Un importante ed essenziale ponte che favorisce innanzi tutto il dialogo con noi stessi. Avere chiaro ciò che proviamo ci aiuta ad accettarlo ed elaborarlo e conseguentemente a essere pronti a comunicarlo nel modo più funzionale e costruttivo possibile, impedendoci di implodere e somatizzare.

Quest’ultimo passaggio può sembrare scontato, ma non lo è affatto. Infatti, molto spesso ciò che ci tiene intrappolati nelle nostre prigioni interiori è proprio la poca chiarezza di ciò che proviamo nel profondo. Mettere per iscritto i nostri vissuti e le nostre emozioni ci aiuta a decompattarle, a guardarle con occhio esterno, ad analizzarle e metterle in ordine. Questo attento lavoro è esattamente quello che ci consente di trovare una cura alle nostre ferite più profonde.

Ecco dunque, che uno dei più importanti antidoti al malessere ce l’abbiamo proprio lì, a portata di mano. Ci basta impugnare una penna e lasciare che si lasci guidare da un ritmo che il nostro cuore e la nostra anima conoscono bene. Ci saranno volte in cui la loro melodia ci piacerà di più e volte in cui ci piacerà meno, ma per certo c’è che ogni volta non ci sarà melodia più adatta per il nostro benessere.

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